Paolo Fresu ha sempre esplorato con interesse la dimensione del duo, iniziando a frequentarla con il contrabbasso di Furio DiCastri e proseguendo poi con Antonello Salis, Uri Caine e altre situazioni più occasionali, ad esempio con Omar Sosa e Ludovico Einaudi.
Se il connubio con Salis è giocato su un lirismo istintivo, muscolare, spesso serrato, quello con Daniele di Bonaventura, di cui abbiamo già un pregnante documento discografico in Mistico Mediterraneo, registrato con l'ensemble corale corso A Filetta, si colloca vicino alla concezione sviluppata con Caine, alla ricerca di una rilassatezza che crea spazi, lavora anche sulla sottrazione, sulla respirazione, sui silenzi.
Seppure quest'ultima si orientasse naturalmente su connotazioni ritmiche ed espressive diverse, come risalta dal confronto delle due versioni di "Non ti scordar di me" presenti in questo disco e in Think.
Con In Maggiore si riprendono e si approfondiscono alcuni criteri già messi in risalto con Mistico Mediterraneo, negli episodi in cui la corale si ritraeva.
La felice accoppiata di tromba (e flicorno) e bandoneon, peraltro ben rodata sul piano concertistico, respira in modo possente e delicato al tempo stesso. Concordante.
Il Mediterraneo del disco precedente si insinua nell'entroterra, in un gusto tutto italiano per la melodia, che per forza evocativa e intensità melodica sembra voler accompagnare immagini proiettate su uno schermo interiore.
Un brano come il pucciniano "Quando me'n vo" trasmette intensamente il segno di un vagabondare mesto e pensoso, come altri sanno evocare stati d'animo e umori con lirismo e sfumature crepuscolari.
Memorabile davvero il motivo che apre il disco, "Da Capo Cadenza," che evidenzia lo stato di grazia del duo. Ma tutto l'album si dipana sulla profonda empatia dei due musicisti e sull'adesione sensibile ai materiali proposti: lo spirito di Puccini e quello di Chico Buarque si mescolano alle allusioni folkloristiche, alla leggera astrazione (di "Sketches"), alla grande melodia italiana da cui fa capolino Nino Rota, che pure non è mai toccato in modo manifesto.
L'equilibrio espressivo scaturito da questa felice sintesi conferisce all'album una serena intensità, una forza narrativa non comune. Giuseppe Segala